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La scienza per il sociale

Parlando con un amico di corpi femminili ho pensato a quanto non mi piaccia l’utilizzo di argomentazioni scientifiche per scopi sociali. Niente panico, mi spiego meglio.

Da qualche anno a questa parte mi capita di discutere con un amico, anche in modo molto animato, relativamente sia agli argomenti del momento che a temi sociali in generale. Abbiamo parlato spesso di vaccini durante la pandemia causata dal coronavirus, di guerra in Ucraina e, tra le varie cose, anche di femminismo.
Visto che le discussioni finivano molto spesso sul personale – passando dall’argomentare la propria posizione alla continua e mutua strumentalizzazione delle parole dell’altro – abbiamo deciso di discutere di un tema passando in rassegna un articolo per volta, lo stesso per entrambi, in modo aperto e scevro da pregiudizi. Il primo articolo che abbiamo deciso di commentare riguarda i capezzoli femminili e di come, secondo chi ha scritto l’articolo, il seno femminile non appartenga realmente alle donne, in quanto utilizzato come strumento di vendita e censurato quando strumento dell’espressione del proprio sé.

Aldilà di quale sia la posizione di ognuno di noi, quello che mi è rimasto impresso è l’utilizzo di una motivazione biologica (tutta da dimostrare) per provare un’argomentazione sociale. Trovo che ci sia un insieme di fallacie logiche in questo procedimento e per questo, non mi piace molto. Per evitare di sviscerare le posizioni in una discussione privata, che resterà tale, passo ad un altro esempio, ma il concetto è lo stesso.

In questo periodo sto leggendo un libro intitolato “L’invenzione delle razze” di Guido Barbujani. In questo saggio l’autore descrive le maggiori teorie “scientifiche” utilizzate con il solo scopo di favorire l’esistenza del concetto di razza umana, col fine di stabilirne una “superiore” (indovinate quale?).

Guido Barbujani ha lavorato in numerosi atenei in Italia e all’estero ed è professore di Genetica all’Università di Ferrara. Collabora con Il Sole 24 Ore. Ha scritto romanzi, come Questione di razza (premio Hemingway) e Tutto il resto è provvisorio (Bompiani), e numerosi saggi, tra cui ricordiamo L’invenzione delle razze (premio Merck-Serono e selezione Galileo) e Sillabario genetico per principianti, anch’essi pubblicati per Bompiani. Sono razzista, ma sto cercando di smettere (con Pietro Cheli), Lascia stare i santi. Una storia di reliquie e di scienziatiContro il razzismo (con Marco Aime, Federico Faloppa e Clelia Bartoli), Gli africani siamo noi (premio selezione Galileo), Il gene riluttante (con Lisa Vozza) e Il giro del mondo in sei milioni di anni (con Andrea Brunelli)

Sito Bompiani, editore del libro “L’invenzione delle razze”

L’autore contemporaneamente passa in rassegna la storia della genetica e spiega come da un punto di vista scientifico, questa volta nel vero senso della parola, non ci siano evidenze a supporto dell’ipotesi che gli esseri umani siano divisi in razze. Lo so che sembra banale, eppure quante volte volte è capitato di sentire argomentazioni pseudo scientifiche che giustificassero idee, diciamo, “problematiche”?
Il grande pregio di questo saggio non è quello di rendere chi legge meno razzista (comunque un buon proposito per l’anno), bensì il rendere palese quanto sia necessario riuscire ad essere coscienti che la scienza è un metodo, un linguaggio, e come tale non esprime un’opinione. Quelle appartengono agli esseri umani e alle loro credenze.
Mettiamo il caso che esistano le razze – spoiler alert: fino a dove sono arrivato a leggere non sembra, anzi sembra tutt’altro – la superiorità di una di esse sulle altre non è una questione scientifica, bensì sociale e politica, e questo perché il concetto stesso di superiorità andrebbe definito attraverso dei canoni completamente arbitrari. Anche se le razze avessero caratteristiche diverse tra loro, in base a cosa stabiliremmo una superiore ed una inferiore? Superiore in cosa? Prestanza fisica? Capacità cognitive? Capacità riproduttive?

Piccolo inciso: sembra assurdo parlare in questi termini, eppure episodi di razzismo accadono ancora tutti i giorni un po’ dovunque, come ad esempio accaduto durante Udinese-Milan. Parlavo qui, qualche giorno fa, di come il razzismo sia un problema evidentemente sistematico ancora oggi.

In generale affidarsi all’opinione di un esperto non è la fine del mondo, anzi alle volte è quanto di più corretto si possa fare. Un esempio perfetto di affidamento ad un esperto è quello che si fa quando ci si rivolge ad un medico: gli vengono descritti i sintomi, il medico li controlla e ipotizza una diagnosi in base alla quale propone una terapia. Può sembrare che questo caso assomigli a quello in cui ci si rifà ad esperti per questioni di genere, o di razza, ma tra questo caso e il caso in cui ci si affida all’opinione di un “esperto” per giustificare teorie o comportamenti sociali c’è una grande differenza: pur potendo formulare un’ipotesi del malanno non si va dal medico per avere ragione, bensì per scoprire le cause dei sintomi che si esperiscono; nei casi in cui si cerca di giustificare delle teorie razziste, sessiste, omofobe e via discorrendo, l’opinione di un “esperto” serve a giustificare qualcosa che già si pensa. Spesso, per fare ciò, si strumentalizza ciò che un vero esperto dice o, ancora peggio, ci si affida a qualcuno di meno affidabile (chiedo scusa per il gioco di parole) che però riporta dei fatti, talvolta distorti, a supporto di tali idee. Molto spesso, chi riporta queste idee, non ha neanche studiato lo specifico settore di cui si sta parlando: ad esempio, nella discussione di prima, veniva citato come “membro della comunità scientifica di fiducia” un amico in comune, che pur avendo un background scientifico-biologico, non ha mai studiato il corpo umano, né tantomeno nello specifico l’evoluzione della mammella femminile umana. In questo caso era fatto in buona fede e nessuna delle posizioni esprimeva teorie sessiste, ma questa strumentalizzazione mi ha fatto molto riflettere. Non so perché succeda, ma credo che le motivazioni siano le più disparate. A volte non si ha il bagaglio di conoscenze adatto e, nell’ambito di una discussione che sta avvenendo in quell’esatto momento, non si ha il tempo di studiare cos’ha da dire la scienza a riguardo, per cui ci si rifà ad una persona di fiducia, tanto meglio se interessata al tema. Altre volte semplicemente si hanno idee fortemente discriminatorie, ma serve una sorta di validazione esterna che ha come effetto principale quello di deresponsabilizzare chi propone quell’idea, che si ritroverà a poter ritrattare idee che spaccia per non proprie, perché lo dice “la scienza” oppure “l’esperto”.
Un’ulteriore differenza fondamentale è la libertà di scelta di tutte le persone coinvolte, che invece è assente nella rivendicazione di teorie discriminatorie, le quali hanno l’obiettivo di non riconoscere (se non addirittura rimuovere) dei diritti a chi li richiede: il medico non obbligherà mai il paziente o la paziente a seguire la sua terapia, mentre chi propina determinate idee lo fa per prendere in carico la possibilità di scelta di qualcun altro o qualcun’altra relativamente ad un tema. Prendiamo ad esempio l’aborto: gli anti-abortisti e le anti-abortiste reclamano la possibilità di scegliere per il corpo di un’altra persona, non per il proprio, e se è vero che anche chi decide di abortire sta decidendo il destino del feto, le conseguenze e le responsabilità della scelta di partorire il bambino o la bambina che verrà da quel feto ricadono su chi sta decidendo se abortire o meno.

È una questione complessa, è vero, ma il punto è che spesso chi utilizza la scienza a supporto di teorie che impattano la società lo fa col fine di discriminare in virtù di un principio di base ideologico, più che di un vero e proprio approccio scientifico alla questione. Di solito chi questo approccio ce l’ha è scettico relativamente all’utilizzo della scienza a favore delle proprie teorie. Spesso chi si pone sulle questioni sociali davvero con approccio scientifico espone i dati a sua conoscenza e, soltanto a valle di questi ultimi, la propria opinione, prendendosi la responsabilità di ciò che dice.

Io spero sempre di riuscire a ritrovarmi tra questi ultimi.


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