Mariano

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Distanze siderali.

Marechiaro è una zona costiera del quartiere Posillipo che affaccia sul mare. L’intero quartiere offre in quasi ogni punto una vista mozzafiato nella quale, aldilà del mare, si susseguono il Vesuvio – col suo fidato compare, il monte Somma -, la penisola sorrentina e l’isola di Capri. Posillipo ospita parecchie zone balneari nelle quali è possibile fare il bagno e uno tra questi è proprio Marechiaro: tra i luoghi più famosi di questa frazione ci sono a fenestrella e ‘o scuglione, solo per citarne due. Ieri sono stato a Marechiaro e il sentimento di beatitudine che un paradiso come questo può dare ha lasciato spazio a sentimenti meno piacevoli quali rabbia, frustrazione e tristezza quando hanno iniziato ad essere sempre più evidenti gli elementi di sporcizia presenti tra gli scogli.

Il panorama di Marechiaro, visto dall’ingresso della pedana del lido Marechiaro che affaccia sul mare. Io, Emanuela e mia sorella eravamo sugli scogli.

Non riesco a smettere di pensare all’ipocrisia delle persone a della mia città con cui ho interagito per tutta la vita che odiano chi nasce al Nord perché sentono cori discriminatori (sbagliati, per carità) negli stadi, come se quella fosse una rappresentazione fedele del pensiero di tutta quella parte d’Italia; le stesse persone per cui Napul’è mille culure e che mostrano una certa ferocia nel “difenderla” da chi la denigra, ma anche talvolta da chi semplicemente ne evidenzia aspetti negativi. Perché Napoli è perfetta così, perché se é na carta sporca è perché nisciuno se n’importa. “Nisciuno“, però, mi sembra abbia assunto un significato molto diverso da quello della canzone: quella di Pino Daniele è un’ode alla città di Napoli, meravigliosa e terribile allo stesso tempo, odore di mare e una carta sporca; un sogno collettivo, un’immergersi nella sospensione dell’incredulità tipica dei prodotti cinematografici, come film o serie TV, fatta di giri in motorino, cibo buonissimo, sole, mare, folklore; di completo disinteresse da parte, si, delle autorità, ma anche di chi la vive, tant’è che dopo il nisciuno se n’importa viene un ancor più malinconico e ognuno aspetta a ciorta, che può essere intesa sia come l’attesa della fortuna nonostante il disinteresse delle istituzioni, sia l’attesa della propria sorte (leggasi morte) con disinteresse, partecipando di fatto al degrado cittadino.

La ciorta, in italiano, indica la sorte. Non ha un'accezione intrinsecamente positiva o negativa, ma la acquisisce a partire dal contesto. Può quindi intendere sia la fortuna che la sfortuna. "Uà che ciorta ch'è avuto!" può significare sia "che fortuna!" che "che sfiga!".

È proprio qui che si annida l’ipocrisia: decantare tanto amore verso la città e poi deturparla senza ritegno. Non credo che il legame e il sentimento di appartenenza siano falsi, credo che sia più una questione di mancanza di sensibilità. 

Mi torna in mente un ragionamento di Ferdinando Cotugno nella sua newsletter “Areale”, nella quale si chiedeva quale fosse il significato della parola natura e se avesse senso ridefinirlo. Cito.

Di cosa parliamo, quando parliamo di natura? Mi ci ha fatto riflettere una campagna di un gruppo di legali e designer britannici chiamata We Are Nature e rivolta alle case editrici che pubblicano dizionari. La richiesta è semplice, e parte dalla definizione corrente di «natura» dell’Oxford English Dictionary: «The phenomena of the physical world collectively; esp. plants, animals, and other features and products of the Earth itself, as opposed to humans and human creations». «I fenomeni del mondo fisico, in opposizione agli esseri umani e alle creazioni umane», in sostanza.

Ferdinando Cotugno – Areale nº 181 del 18/05/2024

Per Cotugno la scissione dell’umano dal naturale ha come conseguenza la definizione di natura come di un serbatoio dal quale estrarre e che, in definitiva, definisce l’economia globale, per l’appunto estrattiva. Sono molto d’accordo, ma vi consiglio di leggere direttamente l’autore in questione. La sua newsletter la si trova qui.

Credo che questo concetto sia applicabile anche in questo caso: c’è una distanza talmente grande tra noi e il “mondo naturale” che non ci urta minimamente la visione della spazzatura, neanche in un luogo così bello come Marechiaro; che non ci viene da pensare due volte prima di gettare a terra una carta, un mozzicone di sigaretta o un chewing-gum. Porto un esempio di questa stessa giornata al mare: un ragazzo che vive lì, che ha una barchetta in quel molo, ha ben pensato che fosse figo sputare un chewing-gum in aria per provare a calciarlo al volo in direzione del mare, tra l’altro fallendo miseramente nell’intento (ma che poi, chi cazzo mastica ancora i chewing-gum?). La cicca è finita davanti ai suoi piedi, ma non l’ha raccolta e anzi si è giustificato dicendo che tanto lui tra cinquant’anni manco ci sarà più. E lui vive quel posto. Quel posto dà da mangiare alla sua famiglia in modo anche molto diretto, tant’è che proponeva ad un conoscente di andare per granchi e vedere se c’erano cozze o vongole da raccogliere. Non riesco a spiegarla questa ipocrisia se non con il distacco totale tra noi e la natura. Distacco che causa tantissime storture che riesco a sopportare sempre meno, come ad esempio l’amare gli animali (alcuni, quelli “carini”) al punto da diventare completamente scemi quando ne si vede uno, ma continuare a mangiarli imperterriti. C’è chi pensa che il nostro apprezzamento verso gli animali sia dovuto al fatto che riconosciamo o meno loro lo status di cibo: se si, li apprezziamo; se no, ci disgustano. Mi trovo d’accordo solo parzialmente con questa visione “culinaria” del fenomeno, che trovo parziale. Più in generale se gli animali hanno un’utilità diretta, sia essa anche la semplice compagnia, li adoriamo, altrimenti li detestiamo. E non importa che essi siano fondamentali per la nostra stessa vita, seppur indirettamente, impollinando o fornendo biodiversità. Non ne riconosciamo l’utilità e ci fanno schifo.

Nell’estate 2023 una locusta è venuta a farmi visita sul telo su cui ero seduto in spiaggia. Abbiamo passato dei bei momenti insieme.

Io ho raccolto parte di quell’immondizia, pur sapendo che il mio sforzo è vano, e lo è non è tanto perché ci sono tanti altri rifiuti, ma perché dopo averlo fatto mi sono anche sentito uno stupido. E mi sono sentito così perché sono rimasto solo; neanche chi era con me ha contribuito, comprendendo l’importanza di un piccolo gesto nei confronti di qualcosa così distante da noi come la natura.


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